EDMOND THEODOR VAN HOVE
(Bruges 1851-1913)

Alchimie, Sorcellerie, Scolastique, “Bruges 1888”
olio su tavola, tutte e tre firmate e datate, in cornice con ante apribili
inv. 1906, XVI, 15
trittico con cornice: 73,5 x 203,5 x 4,5 cm
tavola Alchimie senza cornice: 55 x 37,7 cm
tavola Sorcellerie, senza cornice: 53,6 x 81 cm
tavola Scolastique, senza cornice: 55 x 38 cm

Il quadro, a forma di trittico con ante mobili, dipinto dall’artista belga, fu acquistato a Berlino all’Esposizione Internazionale del 1891 (p. 138, n. 2423) dall’avvocato e collezionista Antonio Borgogna (1822-1906) di Vercelli.
L’opera, con un sottotitolo che recitava “Wissenschaft, Rechtspflege und Philosophie im Dienste des Mittelalters”, era già stata esposta a Monaco nel 1890 (p. 18, n° 575, tav. s.n.), come documenta anche l’etichetta sul retro, che indica inoltre il valore di vendita in 5.000 marchi. Il soggetto delle singole tavole compare nelle iscrizioni, a caratteri gotici e in francese, dipinte sulla cornice. Borgogna si premurò, sul suo inventario (Catalogo delli oggetti, ms. 1903, XVI, 14, p. 92), di fornirci le coordinate per decodificare l’opera, oltre a segnalare la fonte letteraria di riferimento nel testo La strega di Jules Michelet del 1862, che compare tra i volumi della sua biblioteca (inv. 1906, p. 356, n° 570), insieme a La strega di G. F. il Pico (inv. 1906, p. 362, n° 666).
Van Hove raffigura, in modo didascalico e secondo un filone iconografico di successo che si nutriva della letteratura contemporanea, una delle pratiche più diffuse che l’Inquisizione applicava alle presunte streghe. I protagonisti hanno ruoli e sguardi ben caratterizzati, dove l’“osservazione” denuncia una forma voyeuristica sul corpo femminile.
Nella scena centrale di tortura quattro uomini scrutano il corpo nudo e glabro dell’imputata Ghislaine Lievekyndt, distesa sul tavolo, mentre tenta di divincolarsi (E. de Mol, Edmond Van Hove : une œuvre à mi-chemin entre le gothique et la modernité, in “Annales d’histoire de l’art et d’archéologie”, XXXIII, 2011, p. 151). La posa richiama la Nascita di Venere di A. Cabanel del 1863 (Parigi, Musée d’Orsay, inv. RF 273), pittore di cui Van Hove era stato allievo. Uno degli inquisitori indica all’altro, munito di un punteruolo, dove cercare il “marchio del demonio”, cioè il punto insensibile. Seduto allo scrittorio, uno scrupoloso segretario redige con attenzione i verbali, funzionali ai processi inquisitori. Il quarto uomo, di spalle, è forse un testimone. Le due figure laterali, anch’esse quasi dei ritratti dal vero, al lavoro nei loro studioli medievali, hanno un ruolo allegorico e di contrappunto. Sono l’espressione della strenua ricerca della verità, secondo due “fedi” contrapposte: quella sperimentale e alchemica, associata alla stregoneria e alla ricerca della “pietra filosofale”, come attesta il braciere ardente; l’altra, quella teologico-ortodossa del frate domenicano, ordine al quale è affidata la macchina inquisitoria fin dalla sua fondazione, che reprime le pratiche contrarie alla religione e codifica la manualistica della prassi accusatoria fondata sui testi sacri.
L’artista riprende, nell’impianto compositivo e nella stesura pittorica, per quanto corsiva e liquida nel tratto, l’accurato realismo della tradizione fiamminga quattrocentesca, come documenta anche altra sua produzione, in cui il Medioevo è fonte di ispirazione, in linea con il revival storico ottocentesco e con gli interessi di una committenza sensibile a temi sociali e laici. Si inserisce in questo filone anche la presenza de Il tribunale della Santa Vehme di F. Hiddemann del 1888 nella collezione vercellese (inv. 1906, XXIII, 29).
(scheda di C. Lacchia, in catalogo della mostra Sorcières, Fantasmes, savoirs, liberté, Pont-Aven 2025, pp. 138-139).

 

 

EDMOND THEODOR VAN HOVE, Alchimie, Sorcellerie, Scolastique, “Bruges 1888”, trittico su tavola, Museo Borgogna, Vercelli