ALMERICO GARGIULO (Sorrento 1843-1912)
Ragazze e un bambino che scherzano con l’acqua di una fontana in un cortile pompeiano
tarsia lignea, firmata
inv. 1906, XX, 47
81,5 x 97 cm
Nel peristilio di una casa in stile pompeiano, due fanciulle con capelli riccamente acconciati, scherzano a una fontana. Una siede intrecciando una ghirlanda che viene trattenuta da una capretta mentre un fanciullo, seduto a sinistra, richiama la sua attenzione. A destra, un’altra giovane si volge a immergere un ramo nella vasca a conchiglia di una fontana, pronta a schizzare la compagna. La cornice è intarsiata con motivi a racemi vegetali e foglie di edera; in corrispondenza degli angoli ci sono medaglioni con teste di fanciulli.
L’opera, in tarsia lignea in parte dipinta, è firmata in basso a sinistra da Almerico Gargiulo, uno dei tre figli di Luigi Gargiulo (1806-1883), attivo con successo a Sorrento tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo insieme ai fratelli Antonino (1846-1927) e Ferdinando (1850-1917).
Nella sua produzione il capostipite della famiglia di intarsiatori Luigi Gargiulo, che intraprese l’attività a Sorrento a partire dal 1824, prediligeva l’uso di legni chiari e in particolare dell’arancio, diffuso nelle coltivazioni sorrentine e nello stile Biedermeier in voga all’epoca. Ottenne riconoscimenti non solo nel Regno di Napoli ma sulla scena internazionale e i suoi tavoli fanno parte dell’arredo dei Palazzi Reali di Napoli e di Caserta.
La sua attività fu continuata dai figli la cui produzione si avvalse dell’uso della tecnica a smalto su legno. I loro lavori, molto ricercati dai viaggiatori e dalla committenza locale, si basavano principalmente su temi trattati dalla contemporanea pittura di genere napoletana. Demetrio Carlo Finocchietti, nel 1873, segnala i Gargiulo tra i maggiori intarsiatori italiani dell’Ottocento. Pur rilevando che riproducevano “con molta eleganza e disinvoltura i costumi e le vedute del pittoresco golfo di Napoli” con “l’effetto degli smaglianti colori dei legni, e l’originalità delle composizioni”, il critico segnala che null’altro si ravvisava “di ben sorprendente in quelle tarsie quasi sempre applicate a piccole suppellettili di fantasia”.