TIZIANO VECELLIO (bottega di)
(Pieve di Cadore 1488/90-Venezia 1576)
Deposizione di Cristo nel sepolcro
prima metà del XV secolo (post 1525)
Olio su tela
inv. 1906, XI, 116
132 x 215 cm

L’opera riprende, con poche differenze e in misure leggermente ridotte, il dipinto del Louvre (148 x 212 cm) realizzato da Tiziano intorno al 1520-1525 per il duca Federico Gonzaga o per la madre Isabella d’Este.
La più antica provenienza nota dell’opera del Museo Borgogna risulterebbe la collezione della famiglia Ruzzini di Venezia dove il dipinto sarebbe stato acquistato da Gerolamo Manfrin con l’intermediazione di Giovanni Maria Sasso prima del 1795. L’opera passò alla Galleria Manfrin, la cui collezione fu messa in vendita dal 1851. Qui il dipinto raggiunse il più alto valore di vendita ovvero 5200 lire (La Tempesta di Giorgione nella stessa collezione era stimata 2200 lire) rimanendo invenduto fino all’asta del 1897 quando fu acquistato da Antonio Borgogna. Borgogna fu tra i maggiori acquirenti dell’asta di quell’anno acquistando anche il Bacco e Arianna di Ludovico Carracci, La Carità di Hans Baldung Grien, la Sacra conversazione già attribuita a Palma il Vecchio e ora a Rocco Marconi e i Capricci di Tiepolo.
Antonio Canova, nel 1795, durante il suo soggiorno veneziano, visitò la Galleria Manfrin e pare fosse concorde nel ritenere il dipinto di Tiziano anche se l’attribuzione sarebbe già stata messa in dubbio a fine Settecento. Il dipinto nel secondo Ottocento attivò una vivace disputa attributiva dopo che Crow e Cavalcaselle l’avevano spostato a un discepolo di Tiziano nella loro monografia sull’artista (1877, pp. 245-255). Urbani de Gheltof, sostenitore dell’autografia del quadro, riportava riferimenti documentari e bibliografici oltre a sostenere che fino al 1876 l’opera si trovava in una sala, posizionata in alto e illuminata in modo non sufficiente ad un’osservazione dettagliata (Urbani de Gheltof, 1880, p. 10). De Gheltof collocava l’opera nell’ultima fase di produzione di Tiziano nella stessa epoca della versione del Louvre e considerava queste le uniche due versioni autografe del dipinto.
La critica successiva non ha approfondito lo studio dell’opera mantenendo l’attribuzione alla bottega. Pallucchini nel 1956 scrisse a Vittorio Viale che l’opera “sembrava una derivazione cinquecentesca, in quanto il tessuto pittorico aveva durezze che di solito non si riscontrano in Tiziano” (Viale, 1969, p. 74, n. 111). Nella figura del Nicodemo che sostiene i piedi del Cristo sarebbe riconoscibile l’autoritratto di Tiziano confrontandolo con altri dipinti come la testa del Battista sul vassoio della Salomè della galleria Doria Pamphilj di Roma.

Tiziano Vecellio (bottega di), Deposizione di Cristo, olio su tela, Vercelli, Museo Borgogna
Tiziano Vecellio (bottega di), Deposizione, particolare, olio su tela, Vercelli, Museo Borgogna