VALENTINO PANCIERA BESAREL
(Zoldo 1829-Venezia 1902)
Coppia di Moretti inginocchiati reggivaso
legno ebanizzato dipinto e dorato, elementi metallici e madreperla dipinta
inv. 1906, V, 93-94
h. 55 x diam. base 40 ca. x diam. piatto superiore 31
Moretto inginocchiato reggivaso
legno ebanizzato, dipinto e madreperla
inv. 1906, V, 86
h 50 x diam. Base 31; diam. piatto superiore 27
Le tre figure utilizzate a sostegno dei vasi in “stile Alhambra”, come indicato nell’inventario della collezione, vennero concepite dal noto scultore bellunese Valentino Panciera Besarel.
Nato nel 1829 a Zoldo, studiò disegno all’Accademia di Belle Arti di Venezia e dal 1860 iniziò la produzione di cornici artistiche con ricchi intagli di gusto neobarocco. Partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali ricevendo commissioni anche estere con notevole successo europeo che gli permise di aprire una grande officina a Venezia dove eseguiva anche lavori in pietra e marmi colorati. Nel 1888 realizzò per i Savoia gli arredi della sala di ricevimento al Quirinale. Alcune sue opere vennero acquistate dallo zar di Russia, dall’imperatore Federico II di Prussia e dalla regina di Sassonia.
Secondo il critico Giuseppe Corona, che recensì le opere dell’intagliatore all’Esposizione di Torino del 1884, Besarel era riuscito non solo a eguagliare il concittadino e maestro Andrea Brustolon (1662-1732) ma a superarlo, sapendo piegare le forme ridondanti della scultura veneta di Sei e Settecento alle moderne esigenze della ricca borghesia ottocentesca. I vari sostegni per vasi a forma di mori, insieme alle altre opere dell’ebanista esposte ne sono un esempio.
Le citazioni di Brustolon vennero rilette secondo i canoni della contemporanea scultura incline ad una maggiore aderenza al vero e ad una continua ricerca di pose originali e panneggi scenografici, non sempre raggiunti con buon esisto dall’intagliatore. Nonostante ciò la sua fama internazionale e le numerose commissioni lo spinsero ad ampilare il laboratorio, divenuto anche scuola, per soddisfare le richieste della clinetela di passagio a Venezia.
Nella collezione di Borgogna erano presenti, oltre ai tre moretti inginocchiati con funzione di reggivaso, anche due figure di reggivaso in piedi, probabilmente tutti acquistati all’Esposizione di Milano del 1881 (catalogo, Milano 1881, p. 324: “Pancera Besarel, fratelli, Venezia.-Statue e mobili di lusso con decorazioni ad intaglio. Premiati più volte.”). Queste opere testimoniano il gusto dell’artista per il revival dell’intaglio barocco veneziano.
La stessa rappresentazione di fisionomie stereotipate di tipo africano presene nei tre moretti inginocchiati reggivaso sembra essere evocata nella Consolle con quattro putti reggenti fogliami, tralci di vite, grappoli d’uva (inv. 1906, XI, 16), uno degli arredi intagliati da Francesco Toso (Murano, 1846- Venezia, 1903) presenti nella collezione di Borgogna.
Di Panciera Besarel fanno parte della collezione di Borgogna anche due reggivaso con Tritone e Nereide e la monumentale Apoteosi di Vittorio Emanuele II.
Commento di Edoardo Francia dottorando in Tradizioni Linguistico Letterarie, Università del Piemonte Orientale di Vercelli in partnership con il Museo Borgogna:
Il “moretto”, blackamoor in inglese, è la rappresentazione esasperatamente stereotipata di una persona non bianca (in parte africana, in parte araba, occasionalmente nativa americana) raffigurata invariabilmente in posizione servile come reggivaso, portalume, appendiabiti, ecc., se non esplicitamente in catene. Sempre di un colore nero molto intenso, esso poteva portare un turbante, un copricapo o una gonna di piume, ed essere accompagnato da elementi naturalistici come foglie e arbusti, a rappresentare il “buon selvaggio”.
Dal XVII al XX secolo i “moretti” hanno ornato con la loro pregevole fattura artigianale le case dell’alta nobiltà e borghesia europee. Oggi vi riconosciamo chiaramente una visione colonizzatrice, razzista, schiavista del mondo che l’Occidente e l’Europa hanno per lungo tempo praticato e sostenuto. Questi “moretti”, nati come rappresentazioni distorte e distorsive, vogliono dunque essere ora il simbolo di ciò che non vogliamo più essere.