L’assistenza di sala al Museo Borgogna è una parte importante del rapporto con il pubblico di tutti i giorni. Orientare i visitatori, proteggere le opere, ma soprattutto accoglierli e agevolare la loro visita è una delle nostre missioni. L’accoglienza passa anche dal soddisfare le curiosità dei nostri ospiti, stupiti dalla vastità del museo e dalla particolarità delle opere.

È dagli interrogativi nati durante la visita che nasce questo articolo: quali sono le domande che i nostri visitatori ci rivolgono più frequentemente? Siamo qui per darvi qualche risposta. A voi magari sorgeranno nuove curiosità.

Voi chiedete? Il museo risponde!

1. «Che lavoro faceva questo Borgogna per acquistare tutte queste opere? Era nobile?»

Partiamo dalla fine: no, Antonio Borgogna non era nobile, era un avvocato vercellese, appartenente alla borghesia cittadina. Vi chiederete: “Ma quindi, rendeva così tanto fare l’avvocato all’epoca?” No, non era un lavoro così redditizio. In realtà il collezionista aveva a sua disposizione l’eredità del padre agronomo, Francesco, e le ingenti rendite dei possedimenti agricoli, la cui conduzione era condivisa con il fratello Domenico. In questo modo ha potuto ritirarsi a vita privata e dedicarsi al collezionismo e alla filantropia.

2. «Allora questo Borgogna si è tenuto tutto per sé?»

Se c’è una parola che abbiamo a cuore che i nostri visitatori portino con sé dopo la visita al museo, quella è filantropia. Borgogna ha avuto molto, ma ha passato una vita a restituire e condividere. Si può dire che si sia messo al servizio della città. Innanzitutto il palazzo, acquistato per allestire la sua collezione e vivere ai piani superiori, fu già aperto e messo a disposizione dei cittadini, in particolare degli artisti dell’Istituto di Belle Arti, perché potessero scoprire e confrontarsi con tecniche e modelli che altrimenti non avrebbero avuto occasione di conoscere.

Che dire poi delle borse di studio per gli artisti, l’apertura di scuole professionalizzanti e case operaie, ma anche il finanziamento per la costruzione dei monumenti pubblici. Borgogna è stata una figura rara, attenta ai bisogni della città e a cui donò la sua collezione perché venisse aperto un museo, dedicato alla memoria del padre.

Se volete saperne di più, visitate la pagina del sito dedicata ad Antonio.

3. «Ma davvero non è dipinto?!»

Una delle particolarità della collezione si scopre fin dalla prima grande sala rossa. A esclusione del soffitto decorato, tutto ciò su cui si posa l’occhio del visitatore non è dipinto. Sta all’assistente di sala, in questo primo momento, fare da mediatore e aiutare gli ospiti a familiarizzare con il museo, allenandoli a osservare attentamente per scoprire che…

FRANCESCO BETTI (notizie dal 1848 al 1886), Tavolo con composizione di vasi, fiori e uva, 1878

quel mobile in ebano non ha decorazioni animali e vegetali dipinte, ma sono soggetti realizzati in commesso di pietre dure. Quella riproduzione in riduzione dell’Aurora di Guido Reni è una semplice replica? No, è un preziosissimo micromosaico di Luigi Moglia . Come quelli degli altri esemplari con due vedute romane dei Fori e del Vaticano, sempre in micromosaico (esposte alla mostra Grand Tour alle Gallerie d’Italia di Milano) servono per garantire l’esposizione in sicurezza di opere che pesano più di 150 chilogrammi.

4. «Come mai il museo ha portato via questi affreschi dal luogo originario?»

Se una delle parole chiave per conoscere il museo è filantropia, qui è il momento di rivelarne una seconda: conservazione. La storia del museo Borgogna è ricca di sfaccettature, di cambiamenti ed evoluzioni. Oltre alla sua natura di casa museo e di pinacoteca, convive con esse la vocazione di museo del territorio, in grado di ospitare le opere provenienti dal vercellese (e non solo). Gli interventi operati dall’Istituto di Belle Arti e dalla Soprintendenza sono sempre stati finalizzati al recupero e al salvataggio di opere in condizioni precarie. Se la chiesa di provenienza stava per essere abbattuta (come S. Maria del Carmine), o stava per crollare (come S. Bernardo a Gattinara), l’istituto interveniva per recuperare gli affreschi ancora in buone condizioni. Grazie all’indispensabile tecnica dello strappo dei fratelli Steffanoni di Bergamo, molte opere a rischio oblio possono oggi essere ammirate e studiate in museo.

PITTORE VERCELLESE, Frammenti di un Giudizio universale: Angeli in volo di cui uno suona la tuba, 1475-1490 ca.

5. «È davvero Tiziano?»

Passeggiando fra le sale, le domande chieste si fanno più specifiche. La Deposizione di Cristo è un’opera della bottega di Tiziano. Cosa si intende? Significa che all’epoca del pittore, il lavoro non era esclusivo e individuale: in molti collaboravano alla realizzazione di un’opera. Non era inusuale che soggetti di particolare fortuna, come la Deposizione conservata al Louvre, venissero richiesti da altri committenti. La bottega era un ambiente operoso: c’era chi si occupava di preparare i colori, la tela o la realizzazione di soggetti già prodotti dal maestro.

Non per questo le opere perdono di fascino: l’opera è stata per secoli oggetto di dibattito sulla sua attribuzione. Numerosi studiosi hanno riconosciuto la sua elevata qualità pur non essendo interamente autografa, cioè di mano di Tiziano. Nell’Ottocento è segnalata come il più ricco gioiello della splendida Galleria Manfrin, sede da cui Borgogna acquistò l’opera.

6. «Gaudenzio e Defendente Ferrari sono parenti?»

L’omonimia dei due pittori, tra loro quasi coetanei, suscita sempre qualche dubbio tra i visitatori non specializzati.

I due artisti, in realtà, non avevano relazioni parentali, anzi, provenivano da due stati diversi. Chivasso, città natale di Defendente, era dominio dei Savoia; Gaudenzio, nella sua Valsesia, era, per contro, parte del Ducato di Milano. Due pittori che la casualità ha voluto a Vercelli in analogo periodo, ma che seguirono due strade opposte. Defendente rimase legato alla pittura d’oltralpe ricca di preziosismi e figure allungate. Gaudenzio si fece portatore della novità del Rinascimento centro italiano dove i suoi viaggi di formazione e aggiornamento lo avevano portato.

7. «Sembra una foto!»

Forse è questa la domanda più frequente in assoluto tra i nostri ospiti. Molti dipinti ottocenteschi acquistati da Borgogna presentano questa peculiarità: il realismo quasi fotografico con cui gli artisti hanno realizzato la composizione. Queste opere sono qui a testimoniare una predilezione del nostro collezionista, che focalizza i suoi acquisti su opere minuziose e dotate di un’affascinante resa luministica. Sul finire dell’Ottocento, con la diffusione della fotografia, nacque in molti pittori il desiderio di competere con essa, dimostrando l’elevato grado di naturalismo della pittura, oltre alla loro abilità tecnica e accademica. Ne derivarono creazioni di grande effetto e precisione di cui il museo conserva opere di esponenti illustri come Johann Nikutowski e l’emiliano Gaetano Chierici.

ARTHUR SEVERIN JOHANN NIKUTOWSKI (Königsberg 1830- Düsseldorf 1888), La chiesa interdetta, 1879

Queste sono alcune delle curiosità più frequenti alle quali abbiamo cercato di dare una risposta. Ma magari ve ne sono venute molte altre. Contate sulla disponibilità degli assistenti di sala che cercheranno di soddisfare durante il vostro percorso alla scoperta delle collezioni del Museo. Il sogno del fondatore Antonio Borgogna era quello di educare al bello ed elevare l’animo dei futuri ospiti della sua casa-museo. Quale modo migliore se non mettersi a disposizione dei visitatori curiosi?

Valeria Gobbi